Tribunale Bari

Però non siamo nelle steppe dell'Asia Centrale, ma a Bari. Il palazzo in cui dovrebbero tenersi le udienze è fuori uso, a rischio crollo. E allora si corre ai ripari. I tecnici, gli stessi che abbiamo visto in azione fra sciagure e calamità naturali, costruiscono una sede provvisoria, per i processi penali. Con tanto di bagni chimici, stile concerti o grandi eventi. Una situazione penosa: in città dicono che si va avanti così da 15 anni. Denunce. Segnalazioni. Promesse. E un degrado inarrestabile fino alla decisione estrema: abbandonare i locali pericolanti e adattarsi a quello scenario da conflitto mondiale.
Qualcuno ironizza: questo è il biglietto d'ingresso per il nuovo ministro, ma si potrebbe aggiungere che è anche una pessima foto d'addio per il Guardasigilli uscente, Andrea Orlando.
Sentiamo da anni la litania sulla giustizia che cambia, si rinnova, smaltisce finalmente il ciclopico arretrato che quasi la schiaccia. E poi ci ritroviamo con questo quadretto da Terzo Mondo. Incommentabile.
Il procuratore Giuseppe Volpe non fa sconti: «Il ministero ha ricevuto informazioni e inviti continui a rimediare ai problemi segnalati, da almeno 15 anni se non di più». Risultato: zero. «Ora - aggiunge il magistrato dando una pessima notizia - i pm dovranno lavorare a rotazione».
Umiliante. D'altra parte, le aule sono un'altra cosa. Si procede fra smembramenti, ritardi, in spazi risicatissimi. La struttura più grande ha una superficie di 200 metri quadri, le altre due di 75. Si fa quel che si può in un contesto surreale: le tende sorgono nel parcheggio del Palagiustizia, appena abbandonato dopo attenta indagine della stessa procura di Bari che alla fine ha gettato la spugna: non si poteva continuare a lavorare in quell'edificio zeppo di guai. Troppi rischi. E cosi è partita la delocalizzazione che fa arrossire le istituzioni. Lunedì dovrebbe cominciare un altro trasloco verso un altro palazzo, che però è come un vestito troppo stretto: dunque si faranno i turni. E una giustizia già ingolfata si ingolferà ancora di più. Senza contare il danno all'immagine di un pezzo dello Stato che ha, o dovrebbe avere, una suo decoro. E dovrebbe tenere, almeno su questo versante, alla forma che non è un fregio barocco. Ma una parte importante in un rituale che ha una sua solennità e drammaticità. Chiacchiere se le pratiche restano nei cassetti, se i guasti non trovano soluzione, se la macchina giudiziaria è costretta a dividersi fra diverse sedi. Con disagi. Spostamenti continui. Spese che potrebbero essere evitate se tutte le attività fossero concentrate in un unico luogo. Lunedì l'Associazione nazionale magistrati ha dato appuntamento a tutti gli operatori in via Nazariantz, l'indirizzo dello scandalo. I giudici marceranno con la toga sul braccio e con loro ci sarà Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm.
A Roma si litiga per la composizione del nuovo governo. Quello che sta facendo gli scatoloni lascia in eredità molte parole, qualche abbozzo di riforma - alcune da bocciare su tutta la linea - e pagine vergognose. Come questa, arrivata peraltro dagli esecutivi precedenti. Speriamo che si ponga rimedio in fretta. Prima che le immagini delle tende facciano il giro del mondo. E spingano altre imprese a stare alla larga da un Paese in cui il diritto sembra quello delle tribù nomadi.

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