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Un colosso immobile, che pian piano si consuma e invecchia senza essere governato. Si mostra così la pubblica amministrazione alla vigilia dell’attuazione della riforma Madia, che dopo il primo pacchetto di decreti ora all’esame del Parlamento (tranne la trasparenza, appena approvata in via definitiva) attende il secondo gruppo, tra cui spicca la riforma dei dirigenti e il testo unico del pubblico impiego.
Età record
Ma per capire meglio la polemica che torna a riaccendersi su riforma e contratti è utile sapere che cosa è successo fin qui. Il confronto europeo, che nell’analisi realizzata da ForumPa guarda agli ultimi anni della pubblica amministrazione italiana in rapporto alle dinamiche registrate negli altri paesi (con focus puntuali su Francia e Regno Unito), si presta a essere riassunto in modo impietoso. I blocchi ripetuti su turnover e contratti danno alla Pa italiana il record dell’età media dei dipendenti, destinata a sfondare quest’anno la barriera dei 50 anni, ma non hanno alleggerito il peso economico degli uffici pubblici sui nostri conti. La flessione della ricchezza nazionale, che nel 2015 è faticosamente ritornata ai livelli del 2008 dopo la doppia caduta di questi anni, ha annullato gli effetti dei tagli pesanti a cui la Pa è stata sottoposta. Nel 2007 l’Italia dedicava agli stipendi pubblici il 10,9% del Pil e oggi gira il 10,6%: un effetto praticamente nullo, tanto più se paragonato all’entità degli sforzi, realizzati attraverso un inedito congelamento contrattuale durato sette anni, che ha imposto alla fine l’intervento della Corte costituzionale, e spazi assunzionali ridotti al lumicino, che hanno svuotato gli uffici pubblici in modo lineare.
Oggi la Pa italiana arruola meno del 15% degli occupati totali (a loro volta pochi), mentre lo stesso indicatore sfiora il 20% nella media Ocse, arriva al 25% nel Regno Unito e tocca il 35% nel Nord Europa. Come capita sempre quando le sforbiciate sono uguali per tutti, a soffrire di più sono state le strutture più leggere, a partire dai tanti Comuni piccoli e medi chiamati a fare i miracoli per ricomporre organici sempre più stiracchiati.
Tra le vittime dell’austerity pubblica, poi, ci sono i giovani: meno di un dipendente su mille ha meno di 25 anni contro il 5% abbondante dei paesi “concorrenti”, solo il 7% è nella fascia tra 25 e 34 anni (negli altri paesi questo gruppo vale il triplo), mentre gli over 50 sono ormai la maggioranza.
Età record
Ma per capire meglio la polemica che torna a riaccendersi su riforma e contratti è utile sapere che cosa è successo fin qui. Il confronto europeo, che nell’analisi realizzata da ForumPa guarda agli ultimi anni della pubblica amministrazione italiana in rapporto alle dinamiche registrate negli altri paesi (con focus puntuali su Francia e Regno Unito), si presta a essere riassunto in modo impietoso. I blocchi ripetuti su turnover e contratti danno alla Pa italiana il record dell’età media dei dipendenti, destinata a sfondare quest’anno la barriera dei 50 anni, ma non hanno alleggerito il peso economico degli uffici pubblici sui nostri conti. La flessione della ricchezza nazionale, che nel 2015 è faticosamente ritornata ai livelli del 2008 dopo la doppia caduta di questi anni, ha annullato gli effetti dei tagli pesanti a cui la Pa è stata sottoposta. Nel 2007 l’Italia dedicava agli stipendi pubblici il 10,9% del Pil e oggi gira il 10,6%: un effetto praticamente nullo, tanto più se paragonato all’entità degli sforzi, realizzati attraverso un inedito congelamento contrattuale durato sette anni, che ha imposto alla fine l’intervento della Corte costituzionale, e spazi assunzionali ridotti al lumicino, che hanno svuotato gli uffici pubblici in modo lineare.
Oggi la Pa italiana arruola meno del 15% degli occupati totali (a loro volta pochi), mentre lo stesso indicatore sfiora il 20% nella media Ocse, arriva al 25% nel Regno Unito e tocca il 35% nel Nord Europa. Come capita sempre quando le sforbiciate sono uguali per tutti, a soffrire di più sono state le strutture più leggere, a partire dai tanti Comuni piccoli e medi chiamati a fare i miracoli per ricomporre organici sempre più stiracchiati.
Tra le vittime dell’austerity pubblica, poi, ci sono i giovani: meno di un dipendente su mille ha meno di 25 anni contro il 5% abbondante dei paesi “concorrenti”, solo il 7% è nella fascia tra 25 e 34 anni (negli altri paesi questo gruppo vale il triplo), mentre gli over 50 sono ormai la maggioranza.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 24 maggio 2016
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