Si al quesito tagli tribunali


ROMA - Niente da fare per due referendum: quello sul taglio dei costi della politica, promosso dall'Unione popolare, e quello - proposto da Di Pietro, Sel e Verdi - sui diritti del lavoro: presentati in Cassazione lo scorso 7 e 9 gennaio con un'abbondante raccolta di firme, sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte. Con una decisione presa a maggioranza: i quesiti non sono stati ammessi perchè depositati durante il semestre, che inizia dalla data di indizione dei comizi elettorali, in cui la legge vieta di presentarli.

I quesiti bocciati. Uno dei due referendum respinti si poneva l'obiettivo di abrogare l'art.8 del decreto-legge n.138 del 2011, che aveva cancellato il valore universale dei diritti previsti dal contratto nazionale di lavoro. L'altro quesito bocciato - denominato "Tagli agli stipendi d'oro dei parlamentari" - riguardava l'abrogazione dell'art. 2 della Legge 31 Ottobre 1965, n. 1261, e aveva invece l'obiettivo di abolire l'indennità che i parlamentari percepiscono -  si parla di circa 3.000 euro al mese a testa -  per vivere a Roma.

Sì al quesito sul taglio dei tribunali. L'ufficio del referendum della Cassazione, presieduto dal giudice Corrado Carnevale, ha invece dichiarato l'ammissibilità del referendum chiesto da nove Consigli regionali per abrogare la riforma della geografia giudiziaria che ha tagliato mille tribunali. Ora la parola passa alla Corte costituzionale, per l'ulteriore vaglio del quesito.

Il referendum contro la nuova geografia giudiziaria è il primo, nella storia repubblicana, che viene proposto attraverso l'iniziativa delle Regioni. L'articolo 75 della Costituzione prevede infatti che proposte di referendum possono essere presentate con 500mila sottoscrizioni raccolte tra i cittadini, oppure su istanza di almeno 5 Consigli regionali. A rivolgersi alla Cassazione erano stati, a seguito di apposite delibere, i Consigli regionali di Puglia, Calabria, Basilicata, Friuli, Piemonte, Abruzzo, Liguria, Campania e Marche.

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