SHUTDOWN
L’anno fiscale negli Stati Uniti finisce il 30 settembre, una prassi che si è diffusa in molte multinazionali anche a livello europeo. Anche il governo federale adotta lo stesso calendario per il proprio bilancio, e alla conclusione dell’anno fiscale 2013 molti servizi pubblici dell’amministrazione statunitense si sono ritrovati senza soldi. Dopo settimane di negoziazione infuocate infatti i repubblicani che controllano la Camera dei Rappresentanti non hanno trovato un accordo con i democratici, in maggioranza al Senato, per presentare un bilancio per l’anno prossimo, iniziato il primo ottobre dal punto di vista fiscale. Uno stallo che ha costretto il governo federale ad interrompere temporaneamente i servizi federali giudicati come non essenziali. La chiusura ha avuto un impatto sui dipendenti dell’amministrazione centrale, che sono poco più di quattro milioni. Ottocento mila di loro sono stati congedati senza stipendio, visto che le loro mansioni saranno sospese fino all’approvazione del nuovo bilancio. Il restante 80% dei lavoratori federali, divisi tra civili e militari, potrebbero subire pagamenti nei ritardi dello stipendio, ma potranno continuare a lavorare. I servizi essenziali dell’amministrazione saranno garantiti: i carceri, i tribunali, il controllo degli aeroporti e cosi via rimarranno aperti così come le Poste, visto che il loro finanziamento non dipende dallo spese discrezionali stanziate dal Congresso. L’impatto però è già stato avvertiti da milioni di cittadini statunitensi, così come chi si trova negli Usa in questo momento per ragioni di lavoro o di turismo.
La chiusura del governo federale non è in realtà una novità nella storia recente americana. Lo shutdown iniziato il primo ottobre del 2013 è il diciottesimo negli ultimi trentasette anni, numeri che evidenziano una certa frequenza. La prima chiusura si è verificata nel 1976, quando il presidente Ford, impegnato in campagna elettorale per cercare una difficile rielezione poi non ottenuta, decise di porre il veto a misure legislative che avrebbero aumentato le spese per i dipartimenti dell’Educazione e del Lavoro. La chiusura degli uffici federali riguardò solo questi due dicasteri, e il Congresso, allora in mano democratica, riuscì a superare il veto presidenziale dopo una decina di giorni, così ripristinando la normalità. Le sospensioni parziali furono piuttosto numerose sotto la presidenza Carter, un conflitto che aggravò l’impopolarità del presidente nella base del suo stesso partito, all’epoca maggioritario sia alla Camera che al Senato. Le chiusure definitive invece caratterizzarono la presidenza Reagan – si verificarono ben otto volte, un record – mentre il caso più famoso di shutdown si è verificato quando alla Casa Bianca c’era Bill Clinton. Il presidente democratico si confrontò con un Congresso tornato repubblicano per la prima volta da quarant’anni, e la nuova versione del cosiddetto divided government fu subito molto tumultuosa. Il governo federale chiuse per cinque giorni a novembre del 1995, per poi essere sospeso. sempre completamente, per tre settimane consecutive a cavallo del 1995 e del 1996. Il braccio di ferro fu pagato però dal Gop, che fu sconfitto nettamente dal presidente democratico alle elezioni del novembre successivo. Per molti osservatori il successo di Clinton dipese anche dal suo scontro con i repubblicani sulla chiusura del governo, ed anche per questo quest’arma è stata sotterrata fino ad oggi, vista la sua impopolarità.
La chiusura del governo federale non è in realtà una novità nella storia recente americana. Lo shutdown iniziato il primo ottobre del 2013 è il diciottesimo negli ultimi trentasette anni, numeri che evidenziano una certa frequenza. La prima chiusura si è verificata nel 1976, quando il presidente Ford, impegnato in campagna elettorale per cercare una difficile rielezione poi non ottenuta, decise di porre il veto a misure legislative che avrebbero aumentato le spese per i dipartimenti dell’Educazione e del Lavoro. La chiusura degli uffici federali riguardò solo questi due dicasteri, e il Congresso, allora in mano democratica, riuscì a superare il veto presidenziale dopo una decina di giorni, così ripristinando la normalità. Le sospensioni parziali furono piuttosto numerose sotto la presidenza Carter, un conflitto che aggravò l’impopolarità del presidente nella base del suo stesso partito, all’epoca maggioritario sia alla Camera che al Senato. Le chiusure definitive invece caratterizzarono la presidenza Reagan – si verificarono ben otto volte, un record – mentre il caso più famoso di shutdown si è verificato quando alla Casa Bianca c’era Bill Clinton. Il presidente democratico si confrontò con un Congresso tornato repubblicano per la prima volta da quarant’anni, e la nuova versione del cosiddetto divided government fu subito molto tumultuosa. Il governo federale chiuse per cinque giorni a novembre del 1995, per poi essere sospeso. sempre completamente, per tre settimane consecutive a cavallo del 1995 e del 1996. Il braccio di ferro fu pagato però dal Gop, che fu sconfitto nettamente dal presidente democratico alle elezioni del novembre successivo. Per molti osservatori il successo di Clinton dipese anche dal suo scontro con i repubblicani sulla chiusura del governo, ed anche per questo quest’arma è stata sotterrata fino ad oggi, vista la sua impopolarità.
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