per capire dove stiamo andando
L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre mille al giorno. Secondo quanto riportato di recente dalla CGIA di Mestre, almeno un'impresa su due, delle piccole e medie imprese rimaste, pagano a rate i propri collaboratori, o si indebitano per poterlo fare. Stanno anche accumulando debiti tributari crescenti, o ricorrono al credito esterno per poter sostenere il carico fiscale. La pressione fiscale, per le imprese, è del 75% o forse più. Mentre il livello in rapporto al Pil ha superato la soglia del 44%.
Dall’inizio della crisi, i titoli di credito (assegni bancari o postali, cambiali, tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti quasi del 13%.
Sempre secondo quanto ci riferisce l'Associazione di Mestre, le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno subito un incremento del 165%.
Pochi giorni fa, è emerso che nei bilanci dell'Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece, ricevono un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista l'esiguità e il crescente costo della vita, condannano i percettori a vivere in condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà, soprattutto in età avanzata.
I disoccupati sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno al 12%, mentre quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al 50% al sud. Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’e un numero considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non avranno mai la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto diverranno disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di disoccupazione ben oltre il 15%.
A dimostrazione di quanto appena affermato a proposito del crescente stato di povertà, proprio pochi giorni fa, un sito Usa ha diffuso un'analisi secondo la quale il tasso di rischio di povertà italiano ha superato quello della Spagna. Non solo, ma in un'altra analisi diffusa dallo stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione giovanile ha superato quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%, un livello analogo a quello della Grecia di appena 2 anni fa.
Nell’ultimo anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo Monti con il sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è aumentato di oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000 miliardi, attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia speditamente verso i parametri greci.
Nello stesso periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo allungare l’orizzonte ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita nazionale si è contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.
La produzione industriale è crollata a livelli che non si vedevano da decenni, così come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del 2001. Un numero considerevole di famiglie confermano che possono arrivare a fine mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o dalle generazioni passate.
Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.
Le pubbliche amministrazioni statali devono alle imprese circa 70 miliardi di euro, che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono pagare le autonomi locali, arrivando all'iperbolica cifra di 140 miliardi. Queste somme non rientrano nel perimetro del debito pubblico e, se così’ fosse, il rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il 140%; ammesso che ci siano investitori disponibili a comprare il debito pubblico per pagare i debiti delle Pa.
Le imprese italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall'inizio della crisi, hanno perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La cancelliera Angela Merkel, non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni probabilità, l'attuale crisi, si protrarrà per almeno altri 5 anni. E arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.
Il rischio è quello di convivere con recessioni economiche per buona parte della carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.
Paghiamo una novantina di miliardi all'anno per interessi sul debito pubblico, che si autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua connotazione attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente impagabile.
Siamo all'ingovernabilità totale e, con ogni probabilità, passeranno ancora lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace di governare. Per quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo possa invertire questa tendenza, è solo un pia illusione che può albergare nelle menti che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei fatti. Il processo è inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il trascorrere dei mesi. Se tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe andare avanti ancora per ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.
Ormai il punto di non ritorno è stato superato, da un pezzo. L’Italia è fallita, fatevene una ragione. Se per crederci attendete la conferma da parte del mondo politico, state pur certi che verrà annunciata solo dopo che vi avranno tolto tutto, anche la speranza.
Si sta cercando di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del sistema bancario, rendendo insolventi un numero mostruosamente crescente di imprese e famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che rischia di abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo nazionale, compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di risalita.
E' indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una via di fuga e uscire dai vincoli imposda questa camera a gas chiamata eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la ristrutturazione del debito tagliandone il capitale, gli interessi e riprogrammando le scadenze verso un sentiero più sostenibile.
Questo evento, per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse di tutti, se concertato anche con istituzioni sovranazionali e creditori, limiterà gli effetti devastanti di un default incontrollato che non tarderà ad arrivare. Eviterà l'annientamento dell'apparato produttivo e del tessuto imprenditoriale, altrimenti perennemente al servizio del debito e di un apparato burocratico/amministrativo degno della peggiore Unione Sovietica, fino alla scomparsa.
L'alternativa a questo saranno scontri sociali, rivolte, scomparsa di buona parte del tessuto produttivo, svendita di interi settori industriali, perdita dei diritti acquisiti, compressione dello stato sociale, povertà diffusa e bancarotta. Quella vera intendo, quella imposta dalle regole del mercato selvaggio.
Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Vincitori e Vinti - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore .
Dall’inizio della crisi, i titoli di credito (assegni bancari o postali, cambiali, tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti quasi del 13%.
Sempre secondo quanto ci riferisce l'Associazione di Mestre, le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno subito un incremento del 165%.
Pochi giorni fa, è emerso che nei bilanci dell'Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece, ricevono un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista l'esiguità e il crescente costo della vita, condannano i percettori a vivere in condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà, soprattutto in età avanzata.
I disoccupati sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno al 12%, mentre quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al 50% al sud. Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’e un numero considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non avranno mai la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto diverranno disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di disoccupazione ben oltre il 15%.
A dimostrazione di quanto appena affermato a proposito del crescente stato di povertà, proprio pochi giorni fa, un sito Usa ha diffuso un'analisi secondo la quale il tasso di rischio di povertà italiano ha superato quello della Spagna. Non solo, ma in un'altra analisi diffusa dallo stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione giovanile ha superato quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%, un livello analogo a quello della Grecia di appena 2 anni fa.
Nell’ultimo anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo Monti con il sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è aumentato di oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000 miliardi, attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia speditamente verso i parametri greci.
Nello stesso periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo allungare l’orizzonte ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita nazionale si è contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.
La produzione industriale è crollata a livelli che non si vedevano da decenni, così come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del 2001. Un numero considerevole di famiglie confermano che possono arrivare a fine mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o dalle generazioni passate.
Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.
Le pubbliche amministrazioni statali devono alle imprese circa 70 miliardi di euro, che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono pagare le autonomi locali, arrivando all'iperbolica cifra di 140 miliardi. Queste somme non rientrano nel perimetro del debito pubblico e, se così’ fosse, il rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il 140%; ammesso che ci siano investitori disponibili a comprare il debito pubblico per pagare i debiti delle Pa.
Le imprese italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall'inizio della crisi, hanno perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La cancelliera Angela Merkel, non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni probabilità, l'attuale crisi, si protrarrà per almeno altri 5 anni. E arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.
Il rischio è quello di convivere con recessioni economiche per buona parte della carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.
Paghiamo una novantina di miliardi all'anno per interessi sul debito pubblico, che si autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua connotazione attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente impagabile.
Siamo all'ingovernabilità totale e, con ogni probabilità, passeranno ancora lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace di governare. Per quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo possa invertire questa tendenza, è solo un pia illusione che può albergare nelle menti che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei fatti. Il processo è inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il trascorrere dei mesi. Se tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe andare avanti ancora per ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.
Ormai il punto di non ritorno è stato superato, da un pezzo. L’Italia è fallita, fatevene una ragione. Se per crederci attendete la conferma da parte del mondo politico, state pur certi che verrà annunciata solo dopo che vi avranno tolto tutto, anche la speranza.
Si sta cercando di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del sistema bancario, rendendo insolventi un numero mostruosamente crescente di imprese e famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che rischia di abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo nazionale, compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di risalita.
E' indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una via di fuga e uscire dai vincoli imposda questa camera a gas chiamata eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la ristrutturazione del debito tagliandone il capitale, gli interessi e riprogrammando le scadenze verso un sentiero più sostenibile.
Questo evento, per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse di tutti, se concertato anche con istituzioni sovranazionali e creditori, limiterà gli effetti devastanti di un default incontrollato che non tarderà ad arrivare. Eviterà l'annientamento dell'apparato produttivo e del tessuto imprenditoriale, altrimenti perennemente al servizio del debito e di un apparato burocratico/amministrativo degno della peggiore Unione Sovietica, fino alla scomparsa.
L'alternativa a questo saranno scontri sociali, rivolte, scomparsa di buona parte del tessuto produttivo, svendita di interi settori industriali, perdita dei diritti acquisiti, compressione dello stato sociale, povertà diffusa e bancarotta. Quella vera intendo, quella imposta dalle regole del mercato selvaggio.
Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Vincitori e Vinti - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore .
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